La dimensione nascosta di Ada Tanquerel, Franck Jamin, Eloïse Vereecken e Giulia Pompilj, Alessandro Di Tizio e Laura Colagreco
INSTALLAZIONE
INAUGURAZIONE Carte Blanche
LUN 01 MAGGIO ore 19:00
Zooart, Ortona (CH)
L’installazione sarà visitabile fino al 14 maggio
La dimensione nascosta è un lavoro di consapevolezza dei limiti fisici, sociali, culturali, corporei, mentali, intimi. Allo stesso tempo è un un movimento per sfuggirvi. Questa mostra collettiva si basa sulle osservazioni e sulle esperienze personali dei suoi 6 protagonisti uniti appositamente per questo evento: Éloïse Vereecken (attrice), Ada Tanquerel (fotografa e artista visiva), Franck Jamin (architetto-scenografo), Giulia Pompilj (Designer), Alessandro Di Tizio (Etnobotanico e Gastronomo) e Laura Colagreco (Direzione editoriale e artistica espace R&D Mirazur).
Lo spazio Zooart, particolare per le sue gabbie diventate spazi espositivi, è stato determinante nella riflessione e nella decisione della Direzione Artistica del Festival di affidare questa “carta bianca” agli artisti. L’installazione di qualsiasi artista è una specie di autoritratto. Sebbene qui i 6 approcci siano diversi, rivelano la convergenza delle lotte per voler uscire dalla cornice, abolire i confini, passare attraverso i muri, decostruire. Il contesto influenzerà largamente le proposte artistiche. Potrebbe essere altrimenti? Ciascuno investirà nella sua interezza uno spazio, una gabbia. Ogni installazione è come un’esperienza, più che una semplice presentazione di oggetti. Tutti e 6 i lavori rispondono a un luogo, a un tempo, cercano vie di fuga, riflettono gli equilibri di potere. Portano in primo piano un rapporto fisico, concreto, materico tra il pubblico, le opere e il luogo, e sono concepiti come un paesaggio che attraversiamo, al confine tra interno ed esterno.
Il titolo della mostra è ripreso dal saggio di Edward T. Hall scritto nel 1966 per il quale “la dimensione nascosta è quella del territorio di ogni essere vivente, animale o umano, dello spazio necessario al suo equilibrio. Ma negli esseri umani, questa dimensione diventa culturale. Così ogni civiltà ha il suo modo di concepire i movimenti del corpo, la disposizione delle case, le condizioni della conversazione, i confini dell’intimità.”. Questi studi comparativi gettano nuova luce sulla conoscenza che possiamo avere degli altri e sul pericolo che corriamo, nelle nostre città moderne, di ignorare questa dimensione nascosta: forse è meno minacciosa per noi la sovrappopolazione che la perdita della nostra identità.
La cattura del paesaggio di Franck Jamin (Gabbia 1)
La cattura del paesaggio è un’installazione site-specific di un paesaggio sonoro in senso letterale. È pensata in relazione alle caratteristiche e alla situazione stessa dello spazio espositivo di ZooArt che ha la singolarità di rafforzare i contrasti mettendo in scena il confinamento di fronte all’orizzonte. Questo dispositivo è un’interpretazione libera e giocosa di questo contesto. Prende come influenza la sua luce, i suoi limiti, i suoi (molteplici) confini, i suoi paradossi, le sue fragilità, i suoi movimenti, i suoi punti di vista, la sua agitazione, la sua memoria, i suoi fantasmi. Sono esposte proposte di paesaggi in miniatura e viventi, questi territori fantasticati invitano a una meditazione geografica e intima giocando con i rapporti di scala, la commistione di generi, il movimento, il suono e la confusione spaziale. Si tratta tanto di portare il paesaggio nella gabbia quanto di entrare nel paesaggio. La scelta della coperta isotermica come materiale di supporto e di superficie ha qui un significato del tutto simbolico nel senso che, come le Vanità in pittura, è anche qui una rappresentazione allegorica della fragilità e della prepotenza umana.
La femme di Éloïse Vereecken (Gabbia 2)
La femme (La donna) è uno spazio di interrogazione articolato attorno a un video, un testo e un pavimento disordinato, in una scenografia luminosa che recupera i valori dell’immagine. Girato in una ripresa statica, il video sarà caratterizzato da una donna su cui il sangue scorre continuamente. Lei mangia una mela. L’utilizzo dei media “cinematografici” in chiave minimalista con un’unica inquadratura statica, consente di spostare l’architettura dell’immagine verso la pittura. Uscire dalla velocità per ritrovarsi nella lenta costruzione di un’immagine in divenire. Significa anche potersi dedicare del tempo per porre domande semplici come: qual è la rappresentazione delle donne? Cos’è una donna oggi? Qual è il suo posto? Come uscire dagli stereotipi? Come faccio a superare le mie paure? Come ci liberiamo? Come uscire dalla camicia di forza che ci rinchiude e ci ingombra? La libertà è sempre una condizione esterna da noi? Non creiamo la nostra schiavitù?
La charge mental di Ada Tanquerel (Gabbia 3)
La charge mental (Il carico mentale) è un’opera concettuale che mira a formalizzare l’invisibile. Il carico mentale è stato definito per la prima volta nel 1984 come “dover pensare a cose provenienti da due mondi fisicamente separati contemporaneamente”. È generalmente appannaggio delle donne che hanno in carico la gestione domestica oltre al lavoro, ad esempio, ma può essere sentito in molte altre situazioni. In pratica questa installazione è composta da una moltitudine di fili di nylon tirati attraverso l’intera gabbia dal pavimento al soffitto, saturando completamente lo spazio. Come una ragnatela, questa maglia sarà appena percettibile. La gabbia può sembrare quasi vuota. È un’opera che verrà rivelata in determinati momenti dalla luce presente. Metafora di questo carico mentale che a volte può occupare tutto lo spazio, l’installazione consentirà il passaggio di un solo spettatore alla volta per aumentare la sensazione di isolamento e trappola.
What does colors mean di Giulia Pompilj + Opus Selvaticum di Alessandro di Tizio e Laura Colagreco (Gabbia 4)
La gabbia n. 4 interroga la nostra relazione con gli elementi naturali e le nozioni di selvaggio e di controllo invitando ad un dialogo sui nostri modi di intervenire negli spazi, di progettare le nostre creazioni e di interagire con gli altri esseri viventi attraverso due progetti, il primo What does colors mean, della designer Giulia Pompilj e il secondo Opus Selvaticum dell’etnobotanico Alessandro Di Tizio e Laura Colagreco, tutti accomunati dalla ricerca per un utilizzo vivo della materia naturale.
La Designer Giulia Pompilj basa il suo lavoro sulla ricerca che indaga gli aspetti biologici, storici e sociali degli ecosistemi. Il suo progetto presentato parte dalla constatazione di non casualità della natura e secondo la quale i colori sono una reazione chimica dei minerali nel terreno che formano le piante, tenendo conto delle condizioni geologiche e climatiche. Con “What Does Color Mean” Giulia cerca di restituire il valore della biodiversità con un’installazione che unisce biologia, artigianato e patrimonio locale. Utilizzando la tecnica della tintura naturale le piante sono trasformate in colore abitando e replicando gli ecosistemi locali. Le storie racchiuse nei colori rivelano il rapporto che gli abitanti del luogo hanno con la natura che li circonda. Con il processo di tintura naturale queste informazioni vengono catturate nel colore e l’acqua locale è il solvente per la pianta per realizzare e manifestare tutte le informazioni.
Contestualmente con il progetto Opus Selvaticum Alessandro e Laura lavoreranno sul concetto di processo creativo selvatico attraverso un laboratorio sulla creazione del “nendo dango” o “bombe di semi” sarà condotto con i bambini delle scuole locali e sarà l’occasione per confrontarsi con loro e con i loro insegnanti su altri modi di coltivare la terra e interagire con i nostri ecosistemi. Il “nendo dango” di ogni bambino e bambina sarà esposto nella gabbia.
Evento realizzato con il supporto dell’Institut Français
in collaborazione ZooArt
il patrocinio del Comune di Ortona
ORARI D’APERTURA
LUN – DOM 09.00 – 13.00 / 17.00 – 21.00